Cos'è
Il vino è una bevanda alcolica fermentata, ottenuta unicamente dalla fermentazione, totale o parziale, dell’uva, pigiata o non, oppure del mosto d’uva.
I Greci lo chiamavano oinos, da cui deriva la parola enologia; i Latini vinum, parola di remotissima origine sanscrita, da cui è derivata la terminologia delle moderne lingue europee che designa la bevanda oggetto del nostro discorso: dal wein germanico al wijn olandese, dal wine anglosassone, al vino spagnolo, al vinho portoghese, al vin francese.
L’uva da vino a sua volta è il frutto della vite, per lo più della specie Vitis Vinifera oppure da un incrocio fra la suddetta specie ed altre del genere Vitis, come la Vitis Lambrusca, la Vitis Rupestris ed altre. In Italia per produzione enologica possono essere pigiate oggi solo uve della specie Vitis Vinifera.
La storia
Risalgono a due milioni di anni orsono i tralci fossili di Vitis Vinifera rinvenuti in Valdarno, della quale altri reperti archeologici attestano la diffusione spontanea già trecento milioni di anni fa. Trattasi dunque di una pianta antichissima spontaneamente presente già da milioni di anni nelle zone temperate del nostro pianeta, nelle quali si alternino le quattro stagioni.
Secondo l’attestazione della Bibbia (Genesi 9, 20-27 ) il primo ad aver piantato una vigna e quindi ad aver introdotto la coltivazione della vite dopo il Diluvio Universale fu Noè, discendente diretto di Adamo ed Eva, vissuto appena dieci generazioni dopo gli stessi e quindi molto poco dopo la creazione del genere umano: secondo la stessa fonte, fu lui personalmente il primo ad aver libato abbondantemente ubriacandosi e sperimentando l’effetto collaterale del “liquor d’uva“ su chi alza il gomito. A prescindere tuttavia dal pur rispettabilissimo racconto biblico, i primi che gustarono tale bevanda furono probabilmente gli ominidi del neolitico ( 6500 circa a.C. ) in una scoperta a dir poco casuale, dovuta peraltro a naturale fermentazione avvenuta spontaneamente in contenitori dove era stata poggiata l’uva raccolta: in situazione analoga dovette verificarsi spontaneamente la prima lievitazione spontanea del pane.
Secondo attestazioni storico-archeologiche solo da poche migliaia di anni l’uomo ha iniziato a produrre vino: cominciarono a coltivare la vite i popoli che abitavano le rive del Mar Caspio, poi quelli della Turchia orientale, i Sumeri nella Mesopotamia, successivamente una coltivazione più estesa e conseguente maggior produzione enologica si ebbe ad opera degli Egizi nelle pianure nilotiche, successivamente in Grecia e quindi ad opera dei contadini Etruschi nella nostra penisola; nella Roma classica giungevano da ogni angolo dell’impero e si consumavano quotidianamente già molti tipi di vino, anzi nella città che era “caput mundi” il vino divenne una bevanda di largo consumo alla portata delle masse. Giova precisare però che come tecnica di conservazione del prodotto allora si usava la bollitura per cui il vino puro, il “merum”, per un normale fenomeno di concentrazione, risultava essere una bevanda sciropposa molto dolce e soprattutto molto alcolica, bevuta allo stato puro solo dagli intemperanti: ne scaturiva la necessità di diluirla con acqua mista a miele ed altre spezie per rettificarne il sapore: il vino mielato. Alla caduta dell’Impero Romano si ebbe una forte involuzione anche per la coltivazione della vite che sopravvisse intorno ai conventi ed alle abbazie dei monaci benedettini e cirstercensi fino alla ripresa carolingia voluta in particolare da Carlo Magno . È proprio nel Medio Evo che si mettono a punto le nuove tecniche di coltivazione e produzione, giunte peraltro immutate fino al 1700 allorquando nasce un prodotto inteso in senso moderno, stabilizzato nel gusto e nella qualità, imbottigliato in bottiglie di vetro tappate con sughero.
Durante il XIX secolo, orsono circa 200 anni, nella vecchia Europa si diffusero parassiti di origine americana i quali in pratica distrussero la vite europea: la fillossera attaccò le radici delle piante, peronospora ed oidio attaccarono foglie e grappoli. Dalla fillossera i coltivatori impararono a difendere le loro piante utilizzando radici americane di Vitis Lambrusca che ne sono immuni, su cui si innesta ancora oggi la parte fruttifera, che è europea; dalla peronospora ci si difende con prodotti a base di rame, dall’oidio con lo zolfo: l’industria chimica ha reso disponibili prodotti fitosanitari molto meno velenosi di una volta, che vanno applicati alla cadenza di 10-12 giorni e l’ultimo trattamento deve essere posto in essere almeno 45 giorni prima della vendemmia.
Il processo di vinificazione
Esaurita questa zumata di ordine storico, avviamoci ora a parlare della vinificazione vera e propria, cercando di illustrare come si crea il vino che, giova ricordare, è opera della natura e dell’uomo, dal momento che la sola natura creerebbe solo aceto.
Per i vecchi contadini o per chi amava farsi il vino da sé era indispensabile disporre delle migliori uve possibili, in ragione di circa 70 litri di vino per un quintale di uva, conoscendone la vigna di provenienza, l’impianto del vigneto, il tipo di vitigno, il fattore climatico ed il momento migliore per la raccolta, in funzione del vino che si vuole produrre: per lo spumante infatti la raccolta va leggermente anticipata per avere un maggior quantitativo di acidi nell’uva, successivamente, man mano che l’uva matura ulteriormente, diminuiscono gli acidi e si incrementano gli zuccheri; allorquando il bilanciamento viene ritenuto ottimale si raccoglie l’uva.La prima operazione dunque è la raccolta delle uve, cercando di non danneggiare gli acini, seguono la pigiatura e la diraspatura per separare i raspi dagli acini: all’uopo esistono in commercio pigiadiraspatrici manuali molto rispondenti per piccole quantità di uve.
A questo punto della vendemmia abbiamo il mosto, un liquido zuccherino costituito per il 70-80% da acqua, glucosio, fruttosio, ricco di un elevato numero di sostanze fra cui l’acido tartarico, l’acido malico, l’acido citrico: tali acidi determinano l’acidità totale del vino oscillante di solito fra 4 e 8 gr. per litro; altri componenti sono infine tannini e pectine.
È il momento di aggiungere il metabisolfito o trefosolfina dalle proprietà antisettiche, antiossidanti, che favoriscono la precipitazione di sostanze in sospensione da eliminare. Il mosto così ottenuto va deposto in un contenitore munito di rubinetto, precedentemente lavato con acqua bollente e disinfettato facendovi bruciare parte di un dischetto di zolfo che si ha l’accortezza di non inalare all’apertura: tale operazione va ripetuta ad ogni nuovo utilizzo.
Oggi per praticità si preferisce usare recipienti in acciaio inox i quali vengono riempiti di mosto e tappati in modo da lasciare uscire i gas di fermentazione, avendo avuto cura di isolare il liquido dall’aria aggiungendo olio enologico in rapporto al volume del contenitore. I grandi produttori utilizzano in questa fase contenitori che con apposite griglie tengono le bucce in completa immersione, per le produzioni piccole o comunque a livello familiare le bucce vengono affogate due volte al giorno sia per evitare che ossidandosi irrancidiscano il mosto, sia per abbassare la temperatura della massa la quale fermenta a 18°-20°: oltre i 37° la fermentazione alcolica cessa. Sono i lieviti infatti, presenti nelle bucce o anche aggiunti dall’uomo, ad innescare il processo della fermentazione alcolica durante la quale gli zuccheri si trasformano in alcol etilico ed anidride carbonica con emissione di calore; la fermentazione cessa con l’esaurirsi degli zuccheri:
C6H12O6 → 2CH3CH2OH + 2CO2
Al fine di incrementare il grado alcolico, in Europa Unita, anche con recente provvedimento di legge, è consentito lo zuccheraggio, un procedimento a basso costo da non dover dichiarare nemmeno in etichetta, laddove in Italia era previsto e dai produttori è stato sempre praticato un ben più costoso arricchimento a mezzo di mosto di vino concentrato.
In questo momento del processo possiamo inquadrare la tecnica di fermentazione con macerazione per i vini rossi, lasciando nel mosto le bucce per i primi 5 giorni, oppure la tecnica di fermentazione senza macerazione, per i vini bianchi eliminando le bucce dopo un giorno. Per completezza di informazione è doveroso dar cenni sulla tecnica della vinificazione in rosato, in base alla quale le bucce vengono lasciate nel mosto solo per il tempo necessario a far diventare il vino rosato ed infine, limitatamente ai vini novelli, la macerazione carbonica, in base alla quale l’uva pigiata viene inserita in un contenitore per 15 giorni insieme ad anidride carbonica per essere fatta fermentare poi per 2 o 3 giorni: pochi giorni dopo il vino novello è disponibile per la commercializzazione.
Il momento successivo è quello della svinatura: il mosto è separato dalle bucce e, quando trattasi di piccole partite d’uva, raccolto in contenitori maneggevoli, quali damigiane fra le quali tutte viene distribuito anche quello fuoriuscito dalla pressatura delle bucce rimaste ancor piene di liquido sul fondo del tino; il resto del mosto si custodisce in un recipiente a parte per rifondere il quantitativo di mosto che verrà a mancare. Per la grande produzione ovviamente si ricorre a capienti tini.
In questa fase, che è la più delicata, sono necessari dei tappi appositi, adatti a favorire la fuoriuscita di anidride carbonica impedendo all’aria di entrare.
Dopo una ventina di giorni il mosto cessa di essere in ebollizione, ed allora, in concomitanza con la Luna in fase calante e possibilmente durante una giornata asciutta, si potrà procedere al primo travaso operando in modo da lasciare sul fondo tutta la feccia non solo per un motivo di limpidezza del colore ma anche per la presenza di batteri pericolosi per l’ottima riuscita del vino stesso. In questa fase un esperto enologo, in base al campione analizzato, potrà suggerire dei correttivi naturali, acido citrico o tartarico, di cui quel prodotto necessita per la buona conservazione e il miglioramento delle qualità organolettiche, oppure della bentonite per la chiarificazione del vino: il quantitativo di liquido mancante viene rifuso con quello precedentemente tenuto da parte, sempre in assenza di aria.
Dopo 30 giorni ancora eccoci al secondo travaso, avendo avuto cura di aggiungere in ogni contenitore un po’ di bentonite chiarificatrice circa una settimana prima: il vino è pronto per essere bevuto, ma è conveniente lasciarlo almeno fino a Natale.
Durante il periodo invernale la maturazione, a seconda della corposità del vino, in grandi botti o in più piccole barrique di vecchio rovere a temperatura uniforme del fresco delle cantine è ormai un classico.
Le caratteristiche
Al momento limitiamoci a conoscere bene il vino nelle sue caratteristiche peculiari.
Il vino, a differenza di quanto detto del mosto, è costituito da una soluzione idroalcolica nella quale figura quale componente anche l’alcool etilico in quantità compresa fra gli 80 e i 140 millilitri per litro, corrispondenti ad 8° e 14° alcolici; nel vino sono presenti ben 600 sostanze, molte delle quali già componenti del mosto, fra cui gli acidi: essi si dividono in acidi fissi, come l’acido tartarico, malico, succinico ed altri ancora, ed acidi volatili, distillabili nel vino portato a temperatura di ebollizione, quale l’acido acetico: se questo è presente in quantità eccessiva, il vino è prossimo ad acetificarsi. La somma degli acidi determina il valore dell’acidità totale del vino.
Figurano altresì i Sali degli acidi suddetti, le sostanze coloranti, diverse dal vino bianco al vino rosso, altri tipi di alcool, glicerina, sostanze proteiche, alcune vitamine, i componenti delle sostanze che danno profumi e sapori, anidride carbonica che, se presente in quantità notevoli, rende i vini frizzanti, ed infine nei vini rossi figurano i tannini caratterizzati dal gusto amarognolo ed astringente.
Nel 1900 in Francia si cominciarono a redigere le prime normative intese non solo a regolamentare la produzione con l’origine controllata e la definizione dei territori di produzione, ma anche ad incrementare la qualità a scapito della quantità.
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